La 43° Maratona di Berlino 2016

Ogni corsa ha la sua storia. Ogni storia è fatta di emozioni. Ogni emozione si trasforma in un ricordo.

Il ricordo di questa maratona sarà quello di aver fatto i primi 30KM nel mio tempo record ed aver poi spinto le gambe a continuare sotto il comando della mia determinazione a dare il massimo, ed essere riuscito a correre la mia maratona più veloce di sempre.

Quando, tra una corsa e l’altra, i tempi di miglioramento si calcolano in qualche minuto, vuol dire che ci sono ancora margini per fare di più e per migliorarsi perchè non si è ancora arrivati al proprio limite.

Per contro, quando gli scarti sui tempi si misurano in secondi o centesimi, allora si è prossimi al proprio limite e tutto diventa più complicato.

Nella Maratona di New York del 2014 (a 40 anni), ho chiuso in 4h 3′ 13″.

In questa Maratona di Berlino 2016 (a 42 anni), ho chiuso in 4h 3′ 03″.

Quei 10 secondi di differenza raccontano questa storia, fatta di di determinazione a fare meglio, a non mollare e a dare sempre il massimo anno dopo anno.

Berlino 2016 per me è stata la mia maratona più veloce di sempre. E posso sorridere festeggiando con soddisfazione.

E’ stata la migliore di sempre, sia per gli split sui tempi, sia per la precisione e la tecnica raggiunta in gara, ma anche per la fatica negli ultimi 12km.

Ma dentro di me quel sorriso ha un velo di tristezza.

E’ l’ultima maratona (anche se tutti mi dicono che non ci credono…), e avrei tanto voluto chiuderla sotto le 4h, anche per un solo secondo.

Ma ci sono tantissimi elementi che creano una storia, e questa in particolare è una storia che merita di essere raccontata.

Per questa maratona mi ero dato una serie di obiettivi:

  • Obiettivo TOP: correre sotto le 4 ore (mancato! o rinviato? 🙂
  • correre più veloce di sempre (raggiunto!)
  • correre la prima metà (Mezza Maratona) più veloce delle altre 4 maratone (raggiunto!)
  • divertirmi (stra-raggiunto!)
  • sorridere sempre, per ogni km, fino in fondo (fatto! aiuta tantissimo!!)
  • restare concentrato sull’obiettivo (fatto!)
  • non mollare, qualunque cosa succeda (fatto!)

A parte l’obiettivo delle 4 ore, questa è stata una corsa che ricorderò per tanti motivi.

Ho fatto il primo km abbastanza tranquillo, controllando di non scendere sotto i 5.30 min/km per non rischiare di bruciarmi troppo nelle prime fasi. Sono stato superato da molti runner, perchè all’inizio c’è sempre tanta adrenalina e voglia di andare, ma ho controllato bene i miei passi e questo mi ha permesso di impostare da subito il mio ritmo, indifferente degli altri.

Ho macinato i primi 30KM con una precisione impressionante, mi sentivo in forma, forte, determinato e focalizzato come una cronometro di precisione. Volavo. Ho fatto il mio record personale sui 30KM in 2h e 48′. Che bella soddisfazione. Controllando i tempi dal 20km, mi sono ripetuto più volte che sarei riuscito a chiuderla sotto alle 4h, al pelo.


Negli allenamenti sui lunghi di Agosto, ho scoperto che sorrire (a volte anche ridere) aiut a non sentire la fatica, ed andare più veloci. Sorridere e ridere sono il miglior trucco per un’ottima corsa. Sorridere sempre è stata la mia arma segreta 🙂

Da sempre ripeto che una maratona si corre metà con le gambe, e metà con la testa. Questa volta ho corso i primi 30km con le gambe e gli ultimi 12km con la testa. 30KM di forza muscolare e 12KM di sola forza di volontà.

Dal 31mo in avanti, tutta la gamba destra (non solo il ginocchio) ha cominciato a dolere ovunque. Non c’era più un singolo fascio muscolare che non stesse lanciando segnali di “stop”. Ma non importa, l’ordine perentorio era quello di andare avanti a tutta forza, fino alla fine.

Ecco, il senso di “avanti a tutta forza” in queste situazioni è relativo, ed è qui che gli elementi costruiscono la storia di questa corsa.

Faccio un salto indietro di due anni, alla maratona di New York del 2014.

In quella maratona ho corso pensando solo a non andare oltre le 4h e 11′, che era il tempo di riferimento della precedente maratona di Boston nel 2011. Ho impostato la mia corsa a NY2014 senza preoccuparmi troppo del cronometro, quasi lasciando alle gambe la responsabilità di portarmi alla fine nel giusto tempo. Poco dopo la metà della gara, l’iPhone si era scaricato e il Garmin era andato in tilt. A quel punto non avevo più la certezza del tempo e per la fatica avevo anche fatto confusione sulle proiezioni finali. Ricordo solo che negli ultimi km ho iniziato a correre con tutta la forza che mi restava, riuscendo a raggiungere anche i 4.50/5 min/km.
Nella fasi finali di una maratona è stato uno sforzo notevole che ancora oggi non ho idea di come io abbia fatto. Ero un missile.

Questa volta, a Berlino 2016, dopo i 30KM e la comparsa dei dolori e crampi, quando dalla testa è partito l’ordine alle gambe di “andare avanti tutta”, loro non hanno trovato più la forza per reagire come a NY2014 e non sono più riuscito a scendere sotto i 6/6.15 min/km. Una fatica.

Questi 12km sono stati una lunga lotta tra ciò che i miei muscoli potevano fare e ciò che la mia determinazione urlava loro. Non sono mai stato così determinato a spingere ogni falcata oltre il dolore e la fatica, oltre il rischio di un crampo cercando il migliore appoggio ad ogni fottuto passo per non farmi saltare dal dolore ai polpacci e ai quadricipiti.

Ogni passo ed ogni falcata sono stati una lotta tra ciò che riuscivo a fare e ciò che avrei voluto fare. Volevo più velocità ma nelle gambe non avevo più forza.  La mia comfort zone non è mai stata così lontana dalla realtà di ciò che stavo provando in quel momento. Ho realizzato che ad ogni chilometro stavo accumulando secondi sopra le 4h. Dalla proiezione di un immenso successo, alla lenta realizzazione della consapevolezza che ero al mio limite fisico, oltre il quale non bastava neanche un’immensa determinazione. Mi stavo scontrando con un limite che non potevo superare.

In questa situazione non è stato facile non mollare, spingere e pianificare ogni cosa, compreso il saltare due liquid station per non perdere secondi importanti (faceva caldo e la disidratazione aumentava il rischio dei crampi). Il feedback vocale del Nike+ mi ha aiutato ad ogni KM a stare concentrato sui tempi, e nonostante la fatica, mi sono sorpreso della lucidità di calcolo nella proiezione del tempo finale.

All’ultimo KM si imbocca l’Unter den linden prima di arrivare alla porta di Brandeburgo e concludere quasi 300 metri dopo all’interno del parco Tiergarten.

A causa dell’estrema stanchezza, quando sono arrivato sull’Unter den linden, ho visto i primi gonfiabili allestiti con gli sposor, le bandiere e tanta gente. Non so che cavolo mi ha preso ma ho pensato fosse il traguardo. Guardo il Garmin e vedo che ero sotto le 4 ore. Ho sognato di potercela fare. Scatto in avanti. Non ho più forza. La grazia dei movimenti l’ho lasciata qualche passo indietro e corro totalmente scomposto e scoordinato. Cerco energie che non ho più per realizzare che invece mancava ancora poco più di mezzo km. Mezzo km in quelle condizioni sono quasi 3 minuti. Quei maledetti 3 minuti che poi mi hanno separato dal traguardo. Faccio l’ultimo sorriso. Mi sforzo di sorridere. Fanculo anche l’ultimo sorriso. Non ce la faccio più.

Passo sopra al traguardo. Fermo il Garmin. Fermo il Nike+. Mi blocco. Cerco una transenna dove appoggiarmi prima di sentire le gambe cedere. Mi appoggio senza riuscire a piegare le gambe e mi ritrovo solo con i miei pensieri e le mie emozioni di fine maratona.

Ho iniziato a ridere insieme ed un pianto liberatorio, tra il dolore delle gambe, il dispiacere di non essere riuscito a stare sotto le 4 ore, alla soddisfazione di aver completato anche questa maratona, alla consapevolezza di aver dato tutto e di non aver alcun rimpianto, al saper di non aver sprecato neanche un secondo e che più di così, quel giorno, non avrei potuto fare. Ero felice di esserci riuscito ancora, meglio delle altre volte.

Ora ripenso alla fatica degli allenamenti, dei sacrifici fatti per quasi 5 mesi, ai cambiamenti per la mia preparazione che ho imposto a tutti quelli che mi vivono vicino. Ora mi manca già l’allenamento intenso, la fatica e la voglia di andare ancora oltre e sfidarmi.

Ogni corsa ha una sua storia, fatta di emozioni ed elementi che la rendono unica. Indimenticabile.